Pillole per la memoria: come eravamo (1).

Per chi, come me, era un appassionato di fumetti e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, gli anni ’90 erano pieni di possibilità. Nuove testate apparivano in continuazione (e a volte sparivano altrettanto in fretta), in edicola usciva sempre qualcosa di nuovo, e i piccoli editori italiani, le autoproduzioni e gli ultimi arrivati godevano a volte di una diffusione pari a quella dei personaggi più noti.

Erano gli anni in cui – complice il nuovo interesse verso il fumetto dato dal successo di Dylan Dog – chi aveva un’idea cercava di metterla in pratica,  e c’è da aggiungere che in quel periodo internet era ancora lontana, i mezzi di informazione erano pochissimi, per cui solo raramente si poteva capire in anticipo quanto valesse ciò che veniva pubblicato. Semplicemente, una mattina ti alzavi e trovavi un fumetto nuovo. A quel punto, l’unico modo per capire di cosa si trattava era comprarlo.

In quel clima, prima della Panini e dell’invasione dei manga, c’era anche molto spazio per gli italiani. Nuovi autori tentarono la carta dell’autoproduzione, e molti editori – alcuni organizzati, altri del tutto impreparati – si gettarono nella mischia, presentando opere a volte valide, ma altrettanto spesso dalla qualità discutibile.

A differenza di ora, dove bene o male il nome di un autore inizia a contare qualcosa, in quegli anni l’elemento più importante era il personaggio, mentre chi lo aveva creato aveva un ruolo solo marginale. Forse, se editori, scrittori e disegnatori di periodo avessero badato di più al contenuto, e avessero unito gli sforzi invece di dividersi in mille realtà microscopiche, ora il mondo del fumetto sarebbe diverso: il successo di Dyd poteva essere usato con più raziocinio per mettere in piedi una nuova industria attenta alle novità e alle nostre produzioni. Ma così non è stato, e forse è stata proprio questa mancanza di qualità, questa amatorialità generale, una delle principali cause del disamore dei lettori per i fumetti italiani. Disamore che è durato fino ad oggi, ma che fortunatamente sembra destinato a passare.

Io, ovviamente, ero uno di quelli che comprava di tutto. Assaggiavo, andavo per tentativi, masticavo roba che oggi giudicherei indigeribile (e che impallidirebbe se messa a confronto con le realtà editoriali odierne); insomma, a tozzi e bocconi mi creavo una cultura. Ma mettere mano a questo blog, che parla dei fumetti italiani di oggi, mi ha fatto tornare alla mente anche quelli di ieri (Ieri per modo di dire: parliamo di 25 anni fa; praticamente una vita). Fumetti a volte interessanti, a volte originali, a volte prodotto di onesti mestieranti, a volte neppure quello.

Ho deciso quindi di rievocarli, per puro divertimento personale, ma anche per dare un’immagine di quello che era il mondo del fumetto in quell’epoca. Chissà, forse sarà utile a qualcuno. L’immagine che ne darò sarà però quella di un lettore, dunque parziale e falsata dalla mia memoria. Non sono qui per fare un trattato tecnico o un elenco esaustivo, ma solo per divertirmi a ricordare un po’ a caso le vecchie glorie degli anni ’90. Credo però che l’articolo sarà più serio di quello che prevedevo, e forse che ci sarà anche spazio per una “morale” finale. Chi vivrà vedrà.

Intanto iniziamo, in ordine rigorosamente casuale, con i primi dieci.

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1) BALBOA, avvocato italo-americano difensore degli innocenti e bla bla bla. Storie di indagine, azione, sparatoria e tanto tribunale. Un pizzico di denuncia sociale, forse un po’ d’amore, impianto narrativo da telefilm. Ambientazione americana, perché allora praticamente nessuno, tranne pochissime eccezioni, aveva il coraggio di usare come sfondo l’Italia. Non sono mai stato un fan di questo genere di storie, per cui l’ho letto solo di striscio e non l’ho mai collezionato. Però mi dava un’impressione di vaga professionalità, e infatti è arrivato quasi ai 100 numeri. A un certo punto, non ricordo per quale motivo, il protagonista fu costretto a cambiare nome diventando Ronny Ross (questa mania tutta italiana delle iniziali uguali!), e anche il titolo del fumetto cambiò di conseguenza. Mossa di marketing molto americana, che da loro funziona spesso. In questo caso non funzionò.

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2) DICK DRAGO, fumetto balordissimo, nato per cercare di accalappiare i fan di Dylan Dog, cosa che era chiara a tutti. Disegni terremotati, trame deliranti e un protagonista col “sesto senso horror” che gli faceva luccicare gli occhi come due fanali quando qualcosa di paranormale era in agguato. Il primo numero era sbagliato fin dalla copertina, dove vediamo un vampiro dormire in una stanza che si affaccia direttamente sulla strada, alla faccia della discrezione e della sicurezza, e che sembra infastidito dalla luce della torcia che Dick gli punta addosso, al tramonto, dimostrando davvero poca intelligenza.

DD, com’era prevedibile, è durato poco: è impossibile sperare di copiare il successo di un altro fumetto dimenticandosi di offrire belle storie. Ho letto il primo numero, ma non ne conservo il minimo ricordo, e forse è meglio così.

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3) GORDON LINK, scritto da quel Manfredi che poi avrebbe prodotto Magico Vento, Volto Nascosto e ora Adam Wild per la Bonelli. Mah, anche qui indagatori dell’incubo, mostri e cose varie, ma in un mondo vagamente futuro e vagamente disastrato, e con un approccio più divertito alla materia (c’era un mostriciattolo peloso nella squadra degli indagatori, e una pianta carnivora enorme che ne proteggeva la casa). Me lo ricordo troppo comico per i miei gusti: a quell’epoca tendevo a prendermi troppo sul serio, e da un fumetto mi aspettavo tragedie e orrore. Ne lessi qualche numero a caso, senza appassionarmi mai. Mi parve uscì anche un numero con allegata un’audiocassetta di musica… metal? Boh. Insomma una sorta di colonna sonora. Anche altri ci hanno provato, ma non è che la cosa abbia riscosso grande successo.

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4) DEMON HUNTER sì che mi piaceva! E mi piaceva nonostante mi rendessi perfettamente conto che era grezzo, disegnato in modo solo passabile, scombinato, a volte ingenuotto e con trame un po’ all’acqua di rose. A guardarlo bene era davvero un prodotto amatoriale…eppure era divertente, e riusciva misteriosamente a conquistarti, almeno all’inizio.

Trama: un poliziotto col padre satanista si ritrova incastonata nel palmo di una mano una gemma che gli permette di trasformarsi in un mostrone azzurro e combattere demoni, assassini e folli vari. Idea fritta e rifritta ma tutto sommato piacevole, con tanto di rottura della classica gabbia bonelliana a sei vignette e l’inserimento di sottotrame e continuity, allora quasi del tutto assenti dal fumetto italiano. Il miglior pregio di DH, che credo sia valido anche oggi – e sarebbe da tenere in considerazione quando si vuole scrivere (o rilanciare) una serie – era questo: ogni volta che usciva un nuovo numero il lettore non sapeva mai cosa ci avrebbe trovato dentro. Questo “sense of wonder”, la possibilità di affrontare ogni episodio come se fosse unico, e un’impressione di grande sincerità da parte degli autori, che per quanto inesperti si vedeva che ci mettevano il cuore, ti faceva passare sopra anche alla qualità altalenante. E la seppur minima originalità rendeva DH migliore di tanti altri fumetti sicuramente realizzati meglio, ma banali, ripetitivi o basati su vecchi cliché. “Omnia vincit amor”, direbbero i latini. L’amore vince ogni cosa. 

Ovviamente però non si può sperare di tenere accalappiato per sempre un lettore usando solo la sincerità: le storie devono essere anche belle e realizzate con cura. Altrimenti, dopo l’infatuazione iniziale, tutto quello che si è guadagnato lo si perde.

Di Demon Hunter uscì anche un Albo Gigante o due, tanto per non farsi mancare niente. Alle copertine misero un illustratore fico, e la serie andò avanti per una quarantina di numeri, il che per quei tempi era davvero un grande successo (in media i fumetti brutti duravano 4, massimo 8 mesi). Anzi, ripensandoci adesso possiamo dire che DH fu per certi versi un precursore di quello che sarebbe diventato un certo tipo di fumetto popolare italiano.Ma alla fine i pochi pregi non bastarono più a far apprezzare un fumetto che rimaneva amatoriale, e lo abbandonai senza rimpianti. Però lo rileggerei, sull’onda di una romantica (o malsana?) nostalgia.

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5) LAZARUS LEDD, senza “se” e senza “ma”, rappresenta di certo il fumetto più riuscito (tecnicamente parlando) di quel periodo. Il protagonista era un tassista dal passato misterioso (anche se nell’arco di pochi numeri fu necessario movimentargli un po’ la vita e fargli cambiare lavoro per trovare nuovi spunti), che viveva storie di tutti i generi – dal noir all’action all’horror al magico al comico – nell’America di un prossimo futuro. La serie era ben scritta, disegnata ottimamente da molti talenti oggi affermati, ed era una delle più professionali in assoluto. C’era molto fermento in occasione della sua uscita, e ricordo che anche io non stavo nella pelle all’idea di leggere un fumetto italiano NON bonelliano. L’inizio fu buono, c’era una bella varietà di temi, e avventure belle toste scritte degnamente da Ade Capone, che mi pare oggi sia passato a scrivere trasmissioni e libri sui Misteri. Purtroppo l’infatuazione mi passò relativamente presto, per l’esattezza dopo 25 numeri. Non saprei dire perché. Forse perché non condividevo la passione del suo autore per l’avventura a base di sparatorie e segreti dell’esercito, oppure quella di scrivere storie con simpatici gattini, ma in fin dei conti la ragione è che LL non mi conquistò. Questione di genere. Stop.

In epoche successive provai a  recuperare i numeri fino al 100 e ne lessi un bel po’, ma non me ne ricordo nessuno. Anche il secondo tentativo andò quindi a vuoto, anche se posso dire che Capone aveva affinato ancora di più le sue caratteristiche di bravo sceneggiatore e dialoghista.

LL rimane comunque un prodotto importante, che ha il primato di lunghezza tra i non-bonelli (credo più di 150 numeri + speciali), ed è la dimostrazione che puntare sulla qualità (e avere culo) è essenziale.

anni90 (3)6) Anche L’INSONNE era abbastanza originale, e aveva un modo molto diverso di accostarsi al classico stile Bonelliano che in quel periodo andava per la maggiore. In effetti, ripensandoci, erano pochi gli autori capaci di offrire una vera alternativa: tutte le serie “dovevano” avere un unico e carismatico personaggio principale, delle spalle fisse, una trama investigativa, un mistero da svelare. Non si vedeva mai un fumetto, che so, ambientato a Posillipo con protagonista un barbiere e i suoi clienti, o le avventure di una famiglia di topi ribelli. No: protagonista, spalla, nemesi, mistero e cattivo del mese. Stop. Desdy Metus, l’Insonne del titolo, era un po’ in bilico tra questi due mondi: non disdegnava indagini e misteri, ma si muoveva in percorsi ibridi, contaminati da vari generi letterari, ed era prima di tutto una conduttrice radiofonica italiana. Idea particolare, e finalmente un’ambientazione nostrana! Ma comprai solo due o tre numeri, e poi lasciai. Come sempre, le storie non mi convincevano abbastanza. Comunque il fumetto continua ancora oggi, in un lodevole esempio di attaccamento da parte degli autori e del pubblico a un personaggio così particolare.

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 7) Lo speciale ASMODEUS (notate bene: tripla cover disegnata da Pino Rinaldi!) era un ricco speciale a colori scritto e disegnato da vari autori italiani, il cui compito era quello di introdurre il loro universo di stampo Americano/supereroistico. C’erano supereroi alla Liefeld, supergruppi con denti digrignati, ci doveva essere anche una sorta di Swamp Thing, e appariva anche un personaggio in puro stile Vertigo, che aveva a che fare con il Diavolo in persona (era suo figlio, o robe così). Ad Asmodeus doveva seguire il lancio di un numero imprecisato di testate, che avrebbero sfruttato i personaggi appena presentati  più altri nuovi (anche a me era stato proposto di scriverne uno, pensa un po’). Ma nonostante – o forse a causa – delle ottime vendite alle fiere ci furono dei dissidi tra gli autori, il progetto si scorporò, alcune testate non videro mai la luce e le altre chiusero ben presto tra il disinteresse generale. In fondo, questo neonato universo era una semplice riproposta/copia di temi e stili americani; solo che questi erano messi insieme con capacità inferiori, e con un costo più elevato. Come era logico pensare, il pubblico (e io) si chiese per quale motivo dovesse spendere di più per avere quello che gli autori USA facevano a costo minore e con maggior bravura, e tutto finì. Nota per gli autori moderni: non scopiazzate, e se proprio volete farlo assicuratevi di essere almeno bravi e competitivi.

Curiosità: una delle serie neonate, non ricordo quale, si fregiò addirittura di una copertina di Alan Davis. Ma nemmeno quello fu abbastanza.

Arthur King numero zero

8) Di ARTHUR KING ne ho già parlato. Scritto da Lorenzo Bartoli che ci ha lasciati da poco, uscì dopo il boom di Nathan Never, suscitando tra i miei amici non poche perplessità, visto che pareva la sua copia psichedelica. Stessa tutina, stesso ciuffone con le basette, stessa ambientazione fantascientifica… Di diverso c’era il fatto che invece di un polacco informatico e di una cosciona identica a Sigourney Weaver aveva come spalla un mini-dinosauro parlante, ma la cosa pareva più un difetto che un pregio . Eppure Arthur King non era affatto male. Si trattava di albi sottili, credo di 32 pagine, disegnati a mezza tinta con uno stile angoloso e grottesco davvero inedito, frutto di un team di disegnatori di tutto rispetto (Domestici, Signora, Piccininno…).

AK conteneva storie che si lasciavano leggere con piacere. Fu un piccolo prodotto abbastanza rivoluzionario, che si lasciò ben presto alle spalle le accuse di “plagio” e visse con una sua grande dignità soprattutto una sua personalità ben definita, senza “copiare” nessuno ma seguitando per la sua strada. Posso dire che fu una perla rara in un panorama spesso troppo simile a se stesso, ed è un altro dei fumetti che ricordo con affetto. AK l’ho comprato per più tempo rispetto agli altri, fin dopo il suo passaggio alla Coniglio Editore, fin quasi alla fine della testata. Solo la qualità può spingerti a fare qualcosa del genere.

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9) DAGON è già tanto se me lo ricordo. Il personaggio (anche qui cover del maestro Rinaldi) era abbastanza fico, ma i disegni e le storie non lo erano altrettanto. Idea abbastanza scontata, per come me la ricordo (poliziotto dato per morto dai suoi nemici torna più deforme e più incazzato di prima, e inizia una sua crociata bla bla bla), con un tentativo di arricchimento dato dall’unire alle trame metropolitane un tocco di Voodoo e di mostri paranormali (Dagon è uno dei Grandi Antichi descritti dal grandissimo H.P.Lovecraft, uno dei padri dell’horror moderno). Di questo fumetto ricordo solo sparatorie, delle barche e dei personaggi sempre protesi verso non so più cosa. Ne ho comprati due o tre numeri, credo. Ma non mi pare sia durato molto più a lungo.

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10) ESP. Un vero gioiello. Nato sotto forma di storie brevi all’interno de “l’intrepido” (mi pare) si era conquistato ben presto una testata regolare in perfetto formato Bonelliano. Ma le similitudini finivano qui. Avevamo un’ambientazione italiana, una protagonista capace di entrare nella testa della gente e viaggiare per le dimensioni, un dipartimento che si occupa di casi particolari, una comprimaria – Kendra – mercenaria delle dimensioni con un passato tragico e di tutto rispetto, e storie ambientate in mondi paralleli dal grandissimo fascino. Le storie scritte dal suo creatore, il bravo Michelangelo LaNeve, erano forse un po’ troppo adolescenziali in quanto a temi,tristezze varie, depressioni, amori infranti etc, ma in ogni caso erano oniriche e struggenti, piene di invenzioni originali, con dei cattivi agghiaccianti, e soprattutto disegnate da un gruppo di ottimi autori (Soldi, Di Giammarino, Di Vincenzo, Caracuzzo, Accardi, Toffolo, Nizzoli…). Esp era davvero un fumetto sorprendente, che meritava molto più successo. Io, essendo principalmente un imbecille, durante un’epurazione periodica della mia ormai ex collezione l’ho venduto, ma non se lo meritava davvero. 18 numeri ottimi.

 (Fine prima parte. Continua…)


Se volete sapere il nome dell’artista che ha disegnato l’illustrazione che compare come immagine di apertura di questo blog, potete trovarlo – insieme a quello di TUTTI gli altri autori che hanno partecipato nel passato –  nell’apposita PAGINA dedicata agli omaggi a L110P, così come in apposite pagine potete trovare TUTTE LE RECENSIONI, e le SEGNALAZIONI di fumetti non ancora recensiti ma comunque degni di nota.

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